Durante la tua carriera qual è stata la tua esperienza nel settore della Geotermia? 

B.D.V. – La geotermia è per me una passione che si è andata intensificando dal 1977 con il primo imbarco da laureando sulla N/R Bannock per testare la strumentazione di misura del flusso di calore nei sedimenti di fondo del mare (Bullard probe) ed è una passione che continua tuttora.

L’esperienza che ho maturato in oltre 40 anni è molto diversificata. Mi sono occupato di:

  • Caratterizzazione geologico-strutturale e geotermica di aree attive di deformazione dell’areale Mediterraneo, Mar Rosso, Atlantico Meridionale, Antartide e Bacini Periantartici, mediante metodi geofisici, pozzi superficiali e profondi e misure di flusso di calore,
  • Sviluppo e realizzazione di strumentazione per la misura del flusso do calore in mare (GTA, ARGUS II), in collaborazione con WHOI/MIT e con Institute for Geophysics dell’University of Texas, a Austin.
  • Progettazione e perforazione di pozzi esplorativi e analisi dei dati da pozzo (stratigrafie, logs da pozzo, misure di portata, temperature,…)
  • Mappa di flusso di calore per l’areale italiano e contributo alle mappe di flusso di calore dell’Europa,
  • Caratterizzazione di risorse geotermiche ad alta, media e bassa entalpia in aree vocate come Toscana, Tirreno, Mar Rosso, Bacini peri-Antartici, area litorale Regione FVG,… e modellistica termica di aree specifiche (Tirreno, Toscana, Grado, …)
  • Progettazione e sviluppo di applicazioni a bassa entalpia: Palaghiaccio di Pontebba, Teleriscaldamento geotermico di Grado con produzione e re-iniezione, pozzi superficiali per heating_cooling con pompe di calore, balneoterapia e usi agricoli, …
  • Corsi specifici di docenza all’Università di Trieste e altre Università, conferenze nazionali e internazionali …
  • Contributo alla divulgazione e sviluppo della geotermia con ruolo attivo in UGI, IGA, Fondazione Internazionale Trieste.

M.F. – Non ho un curriculum interamente votato alla geotermia. Me ne sono occupato agli inizi della mia carriera: sono stato allievo del professor Antonio Rapolla il quale ha avuto un ruolo di primo piano per sviluppare la geotermia nella zona campana. Purtroppo, come sappiamo quel progetto si è un po’ arenato. Ho avuto altre esperienze successive perché mi sono occupato di modellistica crostale. Gli studi geotermici abbracciano la definizione della struttura terrestre. È importantissimo riuscire ad ottenere un modello termico della produzione del calore crostale. Recentemente mi sono occupato di geotermico grazie al progetto “Vigor”: valutazione del potenziale geotermico delle regioni della convergenza. Ho lavorato a stretto contatto con CNR. Sono molto contento che la congiuntura mondiale ci stia portando verso la valorizzazione di questa importantissima risorsa.

Qual è l’importanza dei metodi di potenziale in questo settore? 

B.D.V. – I metodi di potenziale sono uno dei pilastri fondamentali della geofisica per lo studio e la ricerca di risorse geotermiche a tutte le scale, escludendo le manifestazioni più superficiali. Le risorse geotermiche che cerchiamo si distinguono in base alla tipologia e distribuzione della sorgente di calore, all’assetto geologico-strutturale che condiziona il trasposto di calore e alla capacità del sistema di accumulare calore. I metodi di potenziale hanno generalmente un ottimo rapporto fra intensità di informazione/costo. Le variazioni spaziali e temporali delle proprietà fisiche degli aggregati rocciosi nel sottosuolo generano anomalie gravimetriche e magnetiche misurate in superficie, o a quote più elevate. L’analisi delle anomalie, con metodi diretti o inversi, permette di restituire soluzioni possibili per la  geometria e i contrasti di densità e suscettività magnetica che sono legati sia alla sorgente geotermica che all’assetto geologico strutturale.

M.F. – La magnetometria è uno strumento unico per definire lo stato termico profondo laddove non potremmo mai arrivare con un pozzo (sto parlando di decine di km). Lo studio della profondità massima delle anomalie magnetiche si stima la temperatura. La profondità massima dell’anomalia corrisponde al punto di Curie dove si perde la magnetizzazione. Le misure del flusso geotermico ci danno informazioni sul gradiente termico. L’altra cosa importante relativa alle moderne reti gravimetriche costituite da gravimetri relativi ed assoluti, possono essere utilizzate molto bene in zona di estrazione di calore attraverso iniezione di acqua, capendo come è distribuita la massa. Inoltre il modello gravimetrico consente di fare un monitoraggio nel tempo ed assistere tutte le fasi estrattive geotermiche.

Per individuare reservoir geotermici esistono ulteriori tecniche geofisiche oltre alla Sismologia, Gravimetria e Magnetometria e quali “adattamenti” dovranno subire queste tecniche?

M.F. – Il panorama dei metodi geofisici per lo studio delle zone di interesse geotermico è molto vasto. Il sistema geotermico deve essere concepito come un reservoir contenente fluidi. Quindi non solamente la gravimetria per le variazioni di massa, ma anche i metodi elettromagnetici attivi e passivi come la geoelettrica, la magnetotellurica che ovviamente hanno questa capacità di darci informazioni soprattutto sulla parte fluida. Per quanto riguarda la parte strutturale ovviamente la sismica. Nel futuro si andrà verso una geofisica sempre più integrata anche sotto forma di interpretazione. Con molti dati a disposizione potremmo andare verso la moderna geofisica di inversione integrata.

B.D.V. – I metodi elettromagnetici sono un metodo sicuramente di grande interesse nelle aree vulcaniche attive per l’individuazione delle camere magmatiche profonde e/o delle intrusioni sub-verticali nella crosta. Questi sono stati utilizzati con successo nei campi ad alta entalpia in Islanda, Nuova Zelanda ed anche in Kenia.

Sebbene non strettamente una metodologia geofisica in s.s., la ricostruzione del campo regionale degli sforzi beneficia largamente del contributo delle metodologie geofisiche. Essa risulta di fondamentale importanza per individuare nel sottosuolo la direzione e l’ubicazione delle fasce transpressive e transtensive che molto probabilmente sono quelle a maggiore permeabilità e pertanto rappresentano le vie preferenziali per la risalita di fluidi dai sistemi profondi. Questo obiettivo richiede l’integrazione di dati geostrutturali, di sismologia, GPS, logs da pozzo,… Nella mia esperienza per l’impianto di Grado ho riscontrato un interessante contributo positivo della microgravimetria nel completare la ricostruzione del campo degli sforzi in un’areale difficile di laguna dove i dati erano del tutto carenti.

Le metodologie geofisiche tradizionali e quelle innovative dovranno contribuire in modo sempre più efficiente, veloce e competitivo alla realizzazione di un 3-D modelling integrato che rappresenti al meglio la conoscenza della risorsa e la prima valutazione della riserva geotermica. Solo successivamente alla perforazione dei primi pozzi esplorativi sarà possibile validare il modello e definire i parametri della riserva geotermica (temperatura, pressione, permeabilità, portata, chimismo, presenza e tipologia dei gas disciolti, estensione del reservoir, ricarica, …).

Quale ruolo giocherà la Geotermia nell’attuale contesto di transizione energetica? Quale ruolo avranno le applicazioni Grav/Mag?

B.D.V – La Geotermia ha tutte le carte in regola per poter diventare un player importante nel mix energetico da fonti rinnovabili nei prossimi decenni. Fra le sue caratteristiche principali si ricordano la sua disponibilità ovunque (anche se con diversa entalpia) e la costanza e continuità della sorgente H24, del tutto adeguata a coprire il carico di base di reti elettriche regionali, o nazionali.

D’altro lato il suo ridotto tasso di crescita (3,5 %/a) rispetto alle altre rinnovabile è strettamente legato al molto più elevato rischio minerario sull’esistenza e consistenza della risorsa, tale per cui i tempi, costi, valutazioni di sostenibilità e payback time sono molto lunghi e rallentano le fasi di sviluppo e operatività degli impianti. Ci sono ampi margini di miglioramento sia nei costi della geofisica nella fase esplorativa, che nella perforazione del primo pozzo e nel completamento degli impianti.

Una delle nuove prospettive nella geotermia (a fianco dell’Heating and Cooling) è quella che punta alla produzione elettrica da risorse geotermiche supercritiche (T dei fluidi geotermici >> 374 °C), come recentemente dimostrato dai progetti internazionali in Islanda (IDDP-1 Krafla; IDDP-2 Reykjanese Ridge), Larderello  e la proposta Giapponese (Beyond Brittle), dove le  temperature misurate/stimate sono state di circa 500 °C.

Anche la valorizzazione dei fluidi estratti (Litio, Idrogeno, …) è una delle linee di sviluppo per la futura transizione energetica.

Il ruolo delle applicazioni Grav/Mag rimarrà importante soprattutto per il prospect di progetti di high e ultra-high enthalpy, ma anche per lo sviluppo della geotermia nelle aree costiere, isole e near-offshore, dove sono presenti anomalie geotermiche di interesse e dove piccoli progetti geotermici a scala locale potrebbero sopperire la domanda di corrente elettrica, riscaldamento/raffrescamento, balneoterapia, desalinizzazione di acqua di mare, usi agricoli, piscicolture.

M.F. – Purtroppo, l’utilizzo della ricerca geotermica non è cosi elevata come in altri campi. La geotermia richiede un approccio multi disciplinare G&G. La geotermia consente di ottenere delle performance implementabili sia su scala ad uso civile sia industriale. È l’unica risorsa rinnovabile che consente di avere questo alto potenziale.